Documentazioni non valide, omissioni. Sulla vicenda dei fumi emessi il 2 novembre, la perizia commissionata dal Comune di Melfi, mostra la scarsa trasparenza di Fenice Edf. Dai documenti ‘non a norma’ presentati all’Arpab
alla pista ‘iodio radioattivo’ mascherato da ‘sale iodato’.
La vicenda è nota. Lo scorso 2 novembre sull’inceneritore di S. Nicola di Melfi si alza una linea di fumo rossastro. Nei giorni successivi l’Arpab chiede la documentazione su cosa sia stato bruciato. Le risposte non convincono, al punto che la Regione Basilicata il 9 dicembre sospende le attività del forno rotante da cui proveniva il fumo. Fenice fa ricorso e il Tar, qualche settimana dopo, sospende il provvedimento e riavvia il forno rotante giudicando ‘illegittima’ quella sospensione.
I certificati “fasulli” esibiti da Fenice Il caso, però, è tutt’altro che risolto. Da una perizia commissionata dal Comune di Melfi e consegnata lo scorso 9 gennaio dal chimico e specialista pugliese Onofrio Laricchiuta, emergono dettagli che aprono grosse voragini sul comportamento di Fenice Edf. Alle richieste dell’Arpab sui fumi emessi quel giorno, infatti, la multinazionale francese non esibisce i “certificati di analisi”, ma i “rapporti di prova”, equiparabili, per legge, ai “certificati di analisi”, solo in caso di “analisi ufficiali effettuate da laboratori pubblici”. E non è questo il caso, visto che Fenice è un privato che fa in forma privata le proprie analisi. Proprio per questa incongruenza, spiega nella sua relazione lo specialista barese Laricchiuta, “ove si accerti che sia stata carpita la buona fede di un funzionario della pubblica Amministrazione, da parte di un iscritto all’ordine dei chimici, proponendo un rapporto di prova, al posto di un certificato di analisi, al fine di sottrarsi alla responsabilità dell’atto professionale, lo stesso va deferito all’organo di disciplina”. Chi ha fornito quelle ‘carte non valide’ al funzionario dell’Arpab, andrebbe deferito?
Sale iodato o iodio radioattivo? Ma c’è di più. Fenice giustifica i fumi rossastri parlando di emissione di “iodio” proveniente dai rifiuti inceneriti e cita casi analoghi avvenuti in altri inceneritori, “omettendo di dire che in quei casi le attività si erano immediatamente stoppate”, cosa non avvenuta invece lo scorso 2 novembre a San Nicola di Melfi, quando le combustioni non si sono fermate. E poi “lo iodio”. Fenice lo giustifica equiparandolo al “normale sale iodato”. Secondo lo specialista, invece, “potrebbe trattarsi dell’isotropo dello iodio radioattivo, usato ad esempio nella terapia per la cura del cancro”. Il rilascio di questa sostanza potrebbe essere “molto dannoso” per l’ambiente, chiarisce Laricchiuta. E poiché nel forno rotante di Fenice vengono inceneriti rifiuti industriali provenienti anche dagli ospedali, il rischio che si trattasse proprio di quella sostanza dannosa è alto.
Il camion con carico ‘radioattivo’ fermato il 16 dicembre. E infatti, alle ipotesi, seguono spesso correlazioni e indizi di prova. Il 16 dicembre scorso, pochi giorni dopo lo stop del forno rotante decretato dalla Regione, davanti l’inceneritore viene fermato un camion proveniente dalla discarica di Atella, al cui interno si riscontrano tracce di radioattività riconducibili proprio allo “iodio 131”. Ad Atella, da quando è stato bloccato il sito di trasferenza di Tito, arrivano i rifiuti dal bacino Potenza-centro. E secondo indiscrezioni, sul camion fermato a S. Nicola di Melfi, viaggiavano scarti ‘industriali’ provenienti proprio dall’ospedale di Potenza. A distanza di un mese e mezzo, però, risulta che quel camion è ancora fermo all’interno dei cancelli dell’inceneritore. E più nulla si è saputo. Ma che sia giunto ‘iodio radioattivo’ davanti a Fenice almeno una volta, è l’unico fatto certo.
Omissioni a prova di magistratura. Ci sono troppe cose che non quadrano. Il forno rotante è stato riattivato con sentenza del Tar. Il decreto di sospensione adottato dalla Regione non ha convinto il Tribunale amministrativo. A questo punto, però, in questa vicenda fatta di rifiuti, iodio, camion fermati, omissioni e documenti “fasulli”, solo la magistratura ordinaria può tentare di fare chiarezza. A meno di non voler ‘salvare’ gli “inquinatori” e ‘condannare’ migliaia di cittadini del Vulture-Melfese che già da 15 anni convivono col “disastro ambientale” Fenice.
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