Nell’ambito di una complessa indagine penale su un sospetto traffico illecito di rifiuti, il GIP di Roma ha disposto il sequestro di alcune discariche.
Agli indagati si rimprovera, tra l’altro, di avere classificato e smaltito come “non pericolosi” dei rifiuti contraddistinti dai c.d. codici “a specchio”, senza aver proceduto ad un’analisi sufficientemente accurata degli stessi, in violazione del principio di precauzione previsto dal diritto dell’Unione.
La vicenda pende ora davanti alla Corte di Cassazione, la quale ha chiesto alla Corte di giustizia di interpretare il diritto dell’Unione, onde determinare quale metodologia di analisi vada applicata ai rifiuti con voci “a specchio” per classificarli correttamente.
L’Avvocato generale Campos Sánchez-Bordona (Spagna) così conclude in merito alla procedura per classificare i rifiuti con codici a specchio:
– individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso la scheda informativa del produttore, la conoscenza del processo chimico, il campionamento e l’analisi del rifiuto;
– determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi, le fonti informative europee ed internazionali e la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto; e
– stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate dall’analisi chimica con i limiti soglia ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.
Infine, l’Avvocato generale ritiene che il principio di precauzione o cautela non possa essere fatto valere dal produttore o detentore di un rifiuto come pretesto per non applicare la procedura di classificazione dei rifiuti con codici specchio di cui alla direttiva 2008/98 e alla decisione 2000/532.
Fanno eccezione i soli casi in cui l’indagine sulla composizione del rifiuto risulti impossibile per ragioni non imputabili al produttore o detentore, perché in queste circostanze il rischio per la salute pubblica o ambientale diviene reale.
Quindi, il semplice dubbio astratto sulla pericolosità di un rifiuto non può giustificarne la classificazione a priori come pericoloso.
D’altro canto, in virtù del principio di sostenibilità tecnica ed economica, non sarà necessario imporre al produttore o detentore un’analisi assolutamente esaustiva di un rifiuto in tutte le sue caratteristiche e componenti ai fini della classificazione, poiché una simile obbligazione sarebbe sproporzionata.
Anche per quanto concerne questo aspetto, a parere dell’Avvocato generale, la normativa italiana deve ritenersi compatibile con il diritto dell’Unione.
Sintesi sintesi parere avvocato UE