T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I – 15 settembre 2020, n. 2174
L’attuale disciplina in tema di bonifica prevede obblighi di bonifica soltanto nel caso in cui risultino superati i valori di CSR, in quanto soltanto in tal caso il legislatore qualifica il sito come “contaminato”, eccetto nel caso previsto dall’Allegato 1 al Titolo V della Parte IV del D.Lgs. 152/2006, nella parte in cui prescrive che nel “punto di conformità” delle acque sotterranee, cioè nel punto a valle idrogeologico della sorgente di inquinamento, per ciascuna sostanza contaminante devono essere rispettati i valori di CSC.
Anche nel caso di rinvenimento di una contaminazione della falda al punto di conformità, nell’individuazione del responsabile di tale contaminazione l’amministrazione può avvalersi delle presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. (quali la vicinanza dell’impianto all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati dall’operatore nell’esercizio della sua attività), trovando applicazione, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area e inquinamento dell’area medesima, il canone civilistico del “più probabile che non”. Il soggetto interessato non può quindi limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, dovendo provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta dell’inquinamento.