Ai sensi dell’art. 2-bis l. 7 agosto 1990 n. 241, le Pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto, cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento; peraltro l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante). In relazione alla colpa, la sua sussistenza non può essere dichiarata in base al solo dato oggettivo dell’illegittimo ed ingiustificato procrastinarsi dell’adozione del provvedimento finale, essendo necessaria anche la dimostrazione che la Pubblica amministrazione abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell’apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente o ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese ed inescusabile contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97, Cost. (ex plurimis: Consiglio di Stato, sez. V, 21/04/2016, n. 1584).
qui la Sentenza Consiglio di Stato 2017 3662