L’attribuzione della qualifica di deposito temporaneo ad una raccolta di rifiuti è subordinata ad una serie di requisiti – la cui presenza è, peraltro, oggetto di onere della prova a carico del prevenuto trattandosi di disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria (Corte di cassazione, Sezione III penale, 26/08/2016, n. 35494) – puntualmente elencati all’art. 183, lettere bb), del dlgs n. 152 del 2006. Nella specie, erano significativamente rilevanti i requisti di cui ai nn. 2) e 3) della richiamata elencazione in forza delle quali il deposito temporaneo non può comportare una giacenza di materiali superiori ai 30 mc e per periodi di regola non superiori a tre mesi e comunque nel rispetto delle norme tecniche concernenti il deposito delle tipologie di rifiuto. Sicché, non solo i residui della stabulazione delle larve di insetto erano ammassati in assenza di presidi volti preservare il terreno sottostante da pericoli di inquinamento, come dimostrato dalla esistenza dei fenomeni di ruscellamento ed impaludamento segnalati nel non contestato capo di imputazione, ma la loro quantità era macroscopicamente esuberante rispetto a quella massima consentita.
Secondo le definizioni dettate dall’art. 268 del dlgs n. 152 del 2006, si intende per inquinamento atmosferico: “ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente”; mentre costituisce emissione in atmosfera, qualsiasi sostanza, solida, liquida o gassosa, introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico. Pertanto, si configura il reato in esame, nel caso di allevamento di esche vive, cioè di larve di insetti (nella specie si tratta di mosca carnaria), inevitabilmente produttivo, se condotto su base industriale, di gas inquinanti derivanti dallo stesso ciclo vitale degli insetti, i quali si cibano di carne putrefatta, nonché dalla decomposizione del loro terreno di coltura (trattandosi nella fattispecie di carcasse di polli morti).
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