Un dirigente della Regione Marche si è opposto alla sentenza con cui il Tribunale di Ancona lo aveva condannato, ai sensi dell’articolo 256, comma 1, d. Lgs 152/2006, per aver autorizzato lo sversamento in mare di fanghi di dragaggio in violazione di quanto stabilito dalla stessa Regione e dalle linee guida di settore.
Secondo i Giudici:
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, proponendosi una lettura della fattispecie di cui all’art. 256 comma 1 del d. Igs. 152/2006 disancorata dal dato legislativo testuale, delineando la norma incriminatrice non un reato proprio, ascrivibile solo al “gestore professionale di rifiuti” o a “un soggetto che abbia l’obbligo di sottoporsi al controllo della P.A.”, ma un reato comune, come sottolineato dall’uso del pronome indefinito “chiunque”.
Sulla natura di reato comune della fattispecie contestata questa Sezione della Corte peraltro si è già pronunciata con la sentenza n. 8193 del 29.02.2016 (citata dallo stesso ricorrente), con cui è stato evidenziato che soggetto attivo del reato in questione può essere “chiunque” eserciti abusivamente una delle attività di gestione indicate, in via alternativa, nell’art. 256 (integrante una fattispecie a condotte alternative), anche se non costituito formalmente in veste imprenditoriale, posto che ciò che rileva per assumere la veste di agente del reato non è una qualifica soggettiva, bensì la concreta attività posta in essere.
Escluso dunque che la norma incriminatrice individui una fattispecie a soggettività ristretta, deve conseguentemente concludersi che può commettere il reato anche una persona rivestita di poteri autorizzativi o di controllo, laddove la sua condotta, anche colposa ed eventualmente pure omissiva, si riveli idonea a integrare una delle condotte alternative indicate dalla norma incriminatrice.
Qui la sentenza Cassazione penale 2018 1992