La vicenda riguarda le attività svolte presso un impianto di coincenerimento per risparmiare sui costi di smaltimento degli scarti derivanti dalla lavorazione del riso, producendo contestualmente energia.
La Suprema Corte ha confermato una condanna di risarcimento del danno al Ministero dell’Ambiente per la prolungata immissione nell’ambiente di inquinanti derivanti dalla illecita combustione dei rifiuti.
Secondo la Corte di Cassazione non può esservi dubbio sul fatto che l’aria costituisca una risorsa naturale il cui deterioramento (“significativo e misurabile”) rappresenta un danno ambientale ai sensi dell’articolo 300, comma 1, Dlgs 152/2006.
Secondo i Giudici:
Non appare quindi dirimente il fatto che il comma 2 dell’art. 300, nel precisare che costituisce danno ambientale ai sensi della direttiva 2004/35/CE qualsiasi deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato a una serie di elementi naturali, non contenga alcun riferimento all’aria, ma soltanto alle specie e agli habitat protetti, alle acque (interne, marine e costiere) e al terreno.
Si tratta infatti di una specificazione che non vale certo a escludere l’aria dal novero delle risorse naturali menzionate al comma 1 dell’art. 300, ma che si limita unicamente a individuare una varietà di possibili danni che non esaurisce tuttavia la casistica delle ipotesi di danno ambientale suscettibili di rientrare nell’ampia definizione normativa riferita al “deterioramento” delle “risorse naturali”, dovendosi unicamente precisare che quest’ultimo è destinato ad assumere rilievo solo ove lo stesso si riveli “significativo e misurabile”, aspetti questi che invero nel caso di specie non risultano oggetto di contestazione.
La sentenza è la n° 51475/2018