Sequestrata ieri mattina la ex Caserma Rossani, a Bari, dove la ditta Serveco stava provvedendo alla bonifica dell’ amianto. Il provvedimento del pm Renato Nitti era necessario per impedire che, durante i lavori, venissero disperse altre fibre del pericoloso materiale. La bonifica, infatti, non sarebbe stata eseguita correttamente. Per questo nel fascicolo d’ inchiesta è indagato il titolare dell’ impresa di Martina Franca. E intanto gli albergatori dell’ Assobalneari lamentano le conseguenze nefaste per la prossima stagione turistica, provocate dalla chiusura del litorale disposta nei giorni scorsi dal sindaco Di Cagno Abbrescia. Su tutta la striscia di costa, da Torre Quetta a Torre a Mare, i tecnici dell’ Arpa hanno infatti riscontrato elevata presenza di amianto.
Il rimedio rischiava di essere peggiore del male: la ex Caserma Rossani, non bonificata dall’ amianto correttamente, poteva diventare una bomba ecologica. Fino a ieri quando gli uomini della pg della polizia municipale del tribunale, diretti dal maresciallo Antonio Longo, hanno sequestrato l’ intera area. Ora tre cartelli, uno su via Giulio Petroni e gli altri su corso Benedetto Croce, svegliano le coscienze e danno un po’ di respiro ai cittadini che abitano nella zona circostante, allarmati dalla presenza di amianto e dalle modalità con cui il pericoloso materiale veniva rimosso. Il provvedimento, disposto dal sostituto procuratore Renato Nitti (notificato anche all’ amministrazione comunale, a quella militare e alla Asl), è arrivato dopo soli tre giorni dal secondo esposto inviato in procura da un uomo che, scrive, abita a “soli quattro metri” da quelle tettoie. Nella denuncia, venivano contestate le operazioni di bonifica, ordinata alcuni mesi fa dal Comune di Bari all’ amministrazione militare e affidata alla ditta Serveco di Martina Franca. La presenza dell’ amianto all’ interno della ex Caserma era stata segnalata da un altro privato, nel gennaio scorso, e poi confermata dai sopralluoghi della Asl Ba/4. A marzo, poi, il sindaco Simeone Di Cagno Abbrescia aveva ordinato ai responsabili dell’ Esercito di “provvedere, entro novanta giorni, alla bonifica mediante rimozione dei materiali contenenti amianto”. I lavori, appaltati alla Serveco, avrebbero dovuto, però, tenere conto di un piano di lavoro, preventivamente approvato dalla Asl Ba/4 e che, oltre a tenere in considerazione le norme in materia di sicurezza, prevedeva un controllo ambientale quotidiano per tutta la durata della bonifica. Ma così, a quanto pare, non è andata. Il 26 maggio, a distanza di poco più di due settimane dall’ avvio dell’ operazione, il secondo esposto ne segnalava le anomalie. Lo stesso giorno, il pm Nitti incaricava due consulenti, i chimici Francesco Fracassi e Onofrio Laricchiuta (gli stessi che hanno esaminato lo stato della Fibronit), di accertare se i lavori fossero eseguiti correttamente o se vi fossero, al contrario, situazioni di pericolo. La relazione, depositata in procura lo stesso giorno, purtroppo segnalava una serie di irregolarità alle quali dovrà ora porre rimedio la stessa Serveco: l’ amministratore unico (e legale rappresentante) Vito Chirulli è indagato per la violazione dell’ articolo 51 bis del decreto Ronchi (non corretta bonifica) e della legge 626/94, che tutela la salute dei lavoratori. Nel provvedimento, il pm Nitti ha elencato le mancanze contestate alla Serveco e che rischiano di provocare una forte dispersione di amianto nell’ atmosfera: nel piano di lavoro inviato all’ Asl, innanzitutto, la società parlava di un “modesto stato di usura”, sottovalutando quanto evidenziato dal Presidio multizonale di prevenzione della Asl al termine del suo sopralluogo. I tecnici sanitari avevano infatti segnalato lo “stato di diffuso degrado, tanto da risultare in diversi casi, frammentati e depositati a terra”. Ma non solo. La Serveco non avrebbe utilizzato le previste aree di stoccaggio dei rifiuti rimossi, né avrebbe adottato un’ adeguata “unità di decontaminazione”. Avrebbe, peraltro, spruzzato l’ incapsulante (una sostanza utilizzata per isolare le fibre di amianto prima di rimuoverlo) solo sulla faccia esterna del materiale e non su quella inferiore soggetta in tutti i casi a frammentazione. Non avrebbe, infine, effettuato quel controllo ambientale quotidiano, prescritto dalla Asl. I reati contestati a Chirulli potrebbero però essere ipotizzati anche a carico di altre persone che, per ora, il pm non ha identificato: le indagini, infatti, puntano ad accertare se vi siano altre responsabilità da parte di chi su quella bonifica avrebbe dovuto vigilare.
MARA CHIARELLI
Articolo preso dal sito della gazetta della Repubblica leggilo anche quì