Il TAR di Lecce con la sentenza di seguito riportata si è espressa sul ricorso presentato dai gestori di una discarica per l’annullamento della “Diffida a provvedere mediante ordinanza ai sensi dell’art. 244 del D.Lgs.… ”. La ricorrente gestisce l’impianto di discarica controllata di I^ categoria ubicata in Nardò in C.da Castellino, entrata in esercizio nel giugno 1992 al servizio dei Comuni facenti parte degli allora bacini LE/2 e LE/3. La fase di gestione operativa della discarica è cessata nel gennaio 2007.
Così è riportato nella sentenza:
si è rilevato che per il parametro Nichel i valori negli ultimi monitoraggi eseguiti presentano un trend crescente, in alcuni casi con quantitativi superiori al valore limite […] (20 μg/l, come riportato nella relazione già allegata … )
L’area in questione è pacificamente a servizio della discarica gestita dalla ricorrente;
L’aumento del rilevato fattore di inquinamento risulta esponenziale, atteso che i superamenti delle CSC e l’aggravamento della contaminazione è dimostrabile con il trend crescente dei valori della concentrazione di Nichel;
La presenza della contaminazione anche nel pozzo a monte trova una razionale giustificazione (non smentita dalla ricorrente) dalla prossimità del pozzo di “monte” alla discarica; invero, come risulta nella nota del 26 febbraio 2015 della Provincia di Lecce, “circa la posizione dei pozzi di monitoraggio questo servizio deve tuttavia rammentare che già il Commissario delegato, nell’approvare, con proprio decreto n.207 del 13.11.2006 il Piano di Adeguamento al d.lgs. 36/2003, rilevava come, causa la prossimità del pozzo di monte alla discarica, lo stesso non potesse ritenersi scevro da influenze dirette dell’impianto” …
Può quindi affermarsi che risultano indizi gravi, precisi e concordanti (prova per presunzioni semplici: art. 2727 c.c.) sui quali basare l’accertamento della responsabilità della Mediterranea Castelnuovo.
Pertanto, sempre secondo i Giudici:
Trattandosi di un inquinamento riconducibile alla gestione di una discarica, come ha precisato il Consiglio di Stato (sent. 3165/2014) la ricorrente non avrebbe dovuto limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, dovendo piuttosto precisare, e con sufficiente specificazione, quale fosse stata – diversamente da quanto opinato dalle amministrazioni – la reale, diversa dinamica degli avvenimenti e a quale diverso soggetto dovesse addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento.
Con riferimento al nesso di causalità, la giurisprudenza ha da tempo elaborato, in mancanza di una definizione normativa del nesso di causalità, la teoria del “più probabile che non”, applicata anche nella materia de qua. Secondo tale impostazione, per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo a uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cioè del 50%).
Per cui, soprattutto in relazione a fatti risalenti nel tempo, acquistano rilevo ai fini dell’individuazione del responsabile della contaminazione, elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (Cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. V, sent. n. 2569/2015; n.3885/2009; n. 6055/2008).Questa giurisprudenza è stata avallata anche dalla Corte di Giustizia, secondo la quale la direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale che consenta all’autorità competente, in sede di esecuzione della direttiva, di presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta di determinati operatori e un inquinamento accertato, allorquando la presunzione sia fondata su indizi plausibili quali la vicinanza al luogo ove insiste l’attività che ha causato l’inquinamento e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate nell’area limitrofa e le sostanze utilizzate per svolgere l’attività che si reputa abbia determinato l’inquinamento (Cfr. Corte di Giustizia UE, 9 marzo 2010, causa C-378/08).
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